Caregiver e Alzheimer
Perché assistere chi assiste?
La malattia di Alzheimer è una malattia neurologica con decorso cronico e progressivo e costituisce l’eziologia più comune di demenza negli anziani. Colpisce infatti circa il 5% della popolazione over 65 e circa il 20% degli over 80. Esistono tuttavia rari casi in cui la malattia esordisce in età precoce, ovvero prima dei 65 anni.
La malattia di Alzheimer si manifesta attraverso sintomi cognitivi (es. disorientamento, difficoltà di memoria e di denominazione), funzionali (necessità di assistenza per lo svolgimento delle attività di vita quotidiana) e talvolta comportamentali (agitazione, allucinazioni, aggressività) che con il tempo tendono a peggiorare.
Il ruolo di chi assiste
I pazienti hanno bisogno di supervisione, che viene generalmente fornita da familiari (i cosiddetti caregiver) in modo sempre più continuativo al progredire della malattia.
L’assistenza viene richiesta per necessità eterogenee e di tipo i) materiale (es., trasporto, preparazione dei pasti, spostamenti, assistenza durante l’igiene personale); ii) finanziario; iii) affettivo ed emotivo (es., sostenere l’anziano in momenti di irritabilità, tristezza, depressione, fino all’accompagnamento alla morte).
Perché assistere chi assiste
Un tale carico assistenziale richiede spesso una riduzione del proprio tempo libero o una riorganizzazione dei propri impegni personali in base alle necessità del proprio caro. Ciò può associarsi a stress, frustrazione e stanchezza ed in generale può comportare conseguenze a livello affettivo, relazionale, economico e sociale.
Pertanto è fondamentale sostenere i familiari che, se insoddisfatti o esausti, rischiano di i) sviluppare burnout, inteso come esaurimento psicofisico derivante dal carico assistenziale, ii) peggiorare la qualità dell’assistenza fornita, iii) incrinare la relazione di cura, portando a sua volta il proprio caro a sentirsi incompreso e frustrato.
In queste situazioni è importante che il caregiver espliciti il proprio stato emotivo, condividendo le difficoltà di gestione con eventuali altri membri della famiglia, e che venga sostenuto da professionisti sanitari, come ad esempio psicologi con esperienza nell’ambito della malattia di Alzheimer.
Diverse variabili possono influire sullo stress del caregiver, come ad esempio il grado di supporto sociale percepito ed il grado di comprensione e di accettazione della patologia.
Se nelle prime fasi il processo di accettazione della malattia può essere caratterizzato da negazione e da confusione, successivamente può emergere ansia, che talvolta viene placata facendo ricorso ad un atteggiamento di iperattivazione (es. prenotando diverse visite per richiedere “secondi pareri”). Man mano che la malattia peggiora il caregiver tende a comprendere l’entità delle limitazioni presentate dal paziente e l’impossibilità di riportare il proprio caro alla condizione originaria. A questo punto possono emergere tristezza, delusione, senso di fallimento ma anche rabbia e irritazione. Il familiare può arrabbiarsi con se stesso, percependosi impotente, ma può anche colpevolizzare il paziente per essersi ammalato.
Accettare la malattia e capire come i suoi sintomi non siano intenzionali sono fondamentali per facilitare il compito di cura e per contrastare emozioni negative, quali ad esempio senso di colpa per essersi arrabbiati con il paziente o per essersi vergognati di alcuni comportamenti del proprio caro.
Cosa può fare lo Psicologo per il familiare del paziente con malattia di Alzheimer?
Presso il Centro Polaris a Bussolengo (Verona), potrai trovare psicologi e psicoterapeuti specializzati in malattie neurologiche, tra cui la malattia di Alzheimer.
Spesso sono sufficienti pochi colloqui psicologici per:
- imparare a conoscere e a gestire i sintomi della malattia. Ciò facilita la comprensione dei bisogni del proprio caro facilitandone la cura. Aumenta inoltre il senso di competenza gestionale, facilitando una certa stabilità emotiva.
- promuovere l’accettazione della diagnosi, se necessario;
- sentirsi supportati nel proprio ruolo assistenziale;
- conoscere le risorse presenti sul territorio rivolte a caregiver e a pazienti. Ciò riduce il senso di solitudine e di abbandono e permette di avere dei riferimenti che permettano di avere le risorse per soddisfare ed equilibrare i propri bisogni e quello del proprio caro;
- relazionarsi in maniera efficace con il paziente.
Dott.ssa Valentina Nicolosi Psicologa
Centro di Psicologia e Psicoterapia Polaris